Lig E. Norant
- 30/12/2015 19:15:00
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La citazione in lingua originale non è per vezzo di erudizione dell’Amina, ma per quell’aderenza alla realtà, che poi Ella trasfigura quasi dall’interno ovvero come una partoriente in grazia di visione. “Non hai posto il viso mai lo sguardo dalla parte della carne per qualcosa che non fosse entrato nei tuoi occhi”:
Sarà perché rimane un “sortilegio” la lettura di Narimi, ma certamente viene un brivido a pensare a che cosa rivelino quegli occhi all’anima, poiché qui – nella poetica di Amina - non v’è alcun cedimento al mero guardare, però affiora sublime la nuzialità della vista con l’anima – una vista che potremmo definire tutta interiore, eppure in ciò non c’è disconoscimento della materialità terrena dello sguardo: vede il segno e vede oltre il segno; gode del profumo del fiore ma mai lo coglierebbe per il possesso, poiché anche il fiore – il movimento delle rose – è linguaggio di Dio.
“alle fonti ultime e sommesse della vita nel grumo di radici che beve il buio dalla terra”:
Non è meraviglioso questo canto alla morte vissuta con quella naturalezza che non dispera perché già vede l’Oltre?
“come uno che risorge_ alla fine dei miei occhi, la cui anima si sporge sul mattino.”:
Tornano ancora gli occhi che ora affacciano l’anima sul mattino; e questo lo può dire chi è capace di amare nella “carne” l’invisibile dell’amato.
Di fronte a tanta bellezza di profondità, ogni mia parola è solo un timido ed irriverente balbettare.
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